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Jon PostelQuesta è una mia vecchia teoria -e certo non sono stato il primo a pensarla- che di tanto in tanto espongo ai miei annoiati conoscenti. Mi pare quantomai opportuno, quindi, annoiare i 3 lettori di questo blog allo stesso modo.

Più che una reale teoria, che è il risultato della elaborazione di una idea, sarebbe da definire una vera e propria rivelazione.

Di fatto, tutto accadde una sera di un non meglio precisato giorno del 2001 o del 2002, mentre, cercando inutilmente di comprendere i dettagli di non ricordo nemmeno quale particolare protocollo, finii finalmente su una pagina particolarmente esplicativa, in cui esso veniva spiegato in maniera estremamente chiara e disponibile alla comprensione di un perfetto pivello quale il sottoscritto allora era. Semprechè qualcosa nel frattempo sia cambiato…

E’ stato esattamente come se l’autore di quello scritto mi portasse passo-passo nella comprensione di quanto volevo capire, ed ebbi una particolare sensazione di “vicinanza”, quasi di amicizia nei suoi confronti. Non so se vi sia mai capitato qualcosa del genere, ma fu una sensazione piuttosto vivida e peculiare.

L’autore di quelle pagine, scoprii solo al termine della lettura, era Jon Postel, che di quel che io stavo cercando di capire era stato uno degli autori. E che, all’epoca della mia lettura, era morto da oramai oltre tre anni.

In pratica, mi resi conto che dalla tomba la voce dell’autore giungeva ancora a parlarmi; non nei termini “rigidi” di un libro di testo, ma con il tono amichevole e ispirato di un esperto che introduce un novellino ai segreti della sua passione.

Mi resi conto anche del fatto che una simile situazione sarebbe stata merce estremamente rara anche solo 20 anni prima, poichè quella familiarità nel tono poteva rimanere tale e quale solamente in una comunicazione informale, ed una comunicazione informale avrebbe avuto ben poche speranze di sopravvivere in un ambito non digitale. Perchè le comunicazioni informali rappresentano, nell’era del digitale, la grande maggioranza di quanto viene pubblicato -in una forma o nell’altra- sul web: mailing-list, usenet, forum…

Ebbi la percezione molto chiara -e di tanto in tanto essa mi ritorna- che in quest’era l’uomo digitale è in grado di sopravvivere a sè stesso, poichè non tramanda solamente la propria conoscenza, ma anche la propria personalità e il proprio rapporto con il mondo. E ciò non vale solamente per “i grandi”, ma per chiunque, sia pur con diversi possibili gradi. Chiamai questa visione “la persistenza dell’uomo digitale”.

Da quella occasione ho maturato una sorta di “bel ricordo” di Jon, in un rapporto che si è rafforzato nel corso degli anni man mano che mi è capitato di leggere altri dei suoi tanti lasciti e del tipo che ci si crea attorno al ricordo di un amico o di un conoscente. Il che è curioso, dato che Jon è morto prima ancora che io sapessi anche solo chi egli fosse.

In questi giorni, il 16 Ottobre, saranno trascorsi esattamente 10 anni dalla sua morte.

Di gran parte di ciò che siamo oggi, del nostro essere digitali e della curiosa forma di immortalità che ciò implica, dobbiamo ringraziare Jon e gli altri che con lui hanno creato la Rete.

In un certo senso, sono stati l’equivalente digitale di Prometeo.

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